Ogni testo dedicato a Pier Paolo Pasolini è parziale per sua stessa natura: inserirsi nella sua stratigrafia – letteraria e teatrale, poetica e cinematografica – non è operazione semplice, perché richiede una conoscenza sterminata e la facoltà di rintracciare tutti gli infiniti riferimenti che sono posti lungo la sua strada.
Nel centenario della sua nascita ci è data la possibilità di leggere e rileggere Pasolini, seguirne un aspetto o inebriarsi della sua moltitudine. Tante, infatti, le stampe dedicate a questa ricorrenza, le uscite editoriali che tentano di riannodare i fili del suo pensiero (o cavalcarne illegittimamente la fama).
Proprio per prendere posizione nel marasma dei libri a lui dedicati, si propone qui un saggio, scientifico e analitico, che spicca per la serietà dello studio condotto su tre opere teatrali pasoliniane molto complesse: in Anatomia del potere – Orgia, Porcile, Calderón – Pasolini drammaturgo vs Pasolini filosofo (Metauro edizioni, 2021), Georgios Katsantonis affronta puntualmente la drammaturgia e le tematiche che risiedono in essa, tracciando un percorso che ci riporta al pensiero critico dell’autore sulla sua società contemporanea e, insieme, ai riferimenti filosofico-letterari che hanno permesso quei testi.
La disamina ha inizio con l’analisi di Orgia (testo pasoliniano del 1966, che anticipa Salò): in questo Katsantonis ritrova il riferimento esplicito ai testi di de Sade, Barthes, nonché alla filosofia di Bataille. Questa l’opera che erotizza il fascismo, nella quale la crudeltà diviene strumento di potere: dominatore e sottomesso acconsentono a delle esperienze sadomasochistiche che – attraversando l’erotismo – manipolano il desiderio conducendo alla morte, in una sorta di eros nero che porta all’autodistruzione.
È sadiana la ripresa del ruolo femminile come rottura all’ideologia imperante: viene riconosciuto un diritto al piacere femminile, e non a caso Pasolini utilizza la donna come strumento eversivo nella società capitalistica in tutti i suoi film e nelle opere teatrali. È la donna a denunciare i processi di corruzione e lo svuotamento dei valori nell’ideologia dominante.
C’è Barthes nel valore dato alla parola, e al linguaggio, che conduce al godimento: è la parola che si fa carne, le parole che diventano oggetti erotici e permettono di far durare nel tempo il desiderio. In questo, il teatro diventa realtà che lo spettatore è chiamato a vivere per elaborare, attraverso la rappresentazione del sesso, il proprio trauma.
Proseguendo incontriamo l’analisi di Porcile (testo pasoliniano del 1967-68): anche qui c’è una messa in scena del potere, o meglio, della differenza tra vecchio e nuovo potere (dittatura vs democrazia borghese) in uno dei testi più ironici e dissacranti di Pasolini. I dialoghi sono qui delle confessioni, in cui si rintraccia tutta la solitudine dell’io che insegue il godimento, attraverso un tema che è sempre sotteso nei testi di Pier Paolo Pasolini, ovvero l’anomalia della normalità o l’impossibilità di provare sentimenti considerati normali dalla società. L’animale è il fine ultimo, è la salvezza nella crisi antropocentrica in corso.
Non si tratta tanto di raccontare una perversione, quanto di riflettere su cosa sia davvero animale nel contesto sociale odierno, dissacrando – attraverso la presenza in scena del filosofo Spinoza – la borghesia, vero porcile, e ridando ai maiali la dignità di cui la società dei consumi li ha privati.
L’ultima disamina del libro di Katsantonis è dedicata all’opera Calderón (scritta da Pasolini nel 1967): il testo si rifà a Calderón de la Barca nella simbologia carceraria del sogno, poiché interessa a Pasolini raccontare allo spettatore l’angoscia esistenziale dell’uomo, che proprio nel tema del sogno, e nel ruolo del doppio, ha il suo significato (così come era nell’opera di Strindberg).
Pasolini sembra dirci: solo nel sogno si può uscire dalla dimensione borghese, poiché nella realtà il potere controlla le masse attraverso l’omologazione della cultura e operando sulla rimozione del passato. In questo modo nega ogni possibilità di rivoluzione; l’uomo viene rappresentato come una marionetta dove, in fondo, solo il narratore che inventa possiede i personaggi e dunque la verità. Il tema della marionetta torna anche nell’episodio pasoliniano, di Capriccio all’italiana, “Che cosa sono le nuvole?” dove si manifestava un Otello metateatrale che, riecheggiando un verso di Edgar Allan Poe, permetteva a Totò-Iago di affermare la più disumana delle verità: «noi siamo in un sogno dentro un sogno».
Francesca Attiani